One week later
I buoni propositi, quelli belli, quelli che non durano nemmeno il tempo di esser pensati.
L’unica regola di questo viaggio era che avrei tenuto traccia dei miei pensieri, non avevo calcolato che per poterli scrivere avrei dovuto innanzitutto averli.
Dopo una settimana di encefalogramma piatto, ieri il piccolo neurone ha dato segno della sua esistenza.
Ovviamente nel momento e nel posto sbagliato.
La mia osservazione latente, che a tratti avrebbe potuto essere scambiata per dormiveglia, è uscita allo scoperto.
Nella solita maniera, attanagliandomi lo stomaco e inumidendomi lo sguardo.
Da giorni osservavo con occhi scrutanti ciò che mi stava intorno.
Ho sempre pensato di avere una mentalità aperta e priva di pregiudizio ma mi sbagliavo. Negli anni ho dato fede ai racconti di terzi fino a renderli parte del mio sapere (in maniera non consapevole), sono cresciuta con l’idea che i tedeschi fossero rigidi e andassero in giro scalzi ovunque (anche gli australiani lo fanno), gli inglesi avessero un senso dell’humor discutibile, gli asiatici fossero chiusi e poco di compagnia.
In questa settimana più che mai nella mia vita mi sono resa conto di quanto prima di tutto siamo esseri umani.
Benché, per indole, già fosse alla base del mio pensiero, ogni tanto ci si dimentica.
Per abitudine, per superficialità e non curanza, si dimentica.
E allora mi trovo a stupirmi.
A confutare qualcosa che ho sempre dato per vero, ma mai testato in prima persona.
Studio inglese, con un’insegnante londinese.
Bionda, occhi chiari, fisico esile.
Prima di essere insegnate, è un’artista, una musicista e credo amante della recitazione.
Insegna cantando e mimando ogni scena.
Del resto non potrebbe fare altrimenti, siamo due italiani, due giapponesi, una thailandese, una colombiana e cinque sud coreane.
Livello d’inglese=sopravvivenza.
Jia, la mia compagna di banco, viene dal sud della Corea, è la prima persona che ha attratto la mia attenzione, silenziosa e super timida. A prima vista sono la personificazione di tutto quello che nel suo paese è visto come inaccettabile, un tabù vivente. (Figuriamoci quando ho iniziato a parlare.) Pranziamo tutti i giorni insieme e abbiamo affrontato le tematiche più svariate, dalla morte, alla religione, alle problematiche socio/politiche/economiche dei nostri paesi.
Julia è una giovane ventunenne spigliata, sorridente e in cerca del principe dagli occhi azzurri. (non ho influenzato in alcuna maniera il suo pensiero)
È sempre sorridente, si muove un sacco e scherza molto con tutte. È coinvolgente.
Desy, ventunanni e delle labbra a cuore perfette. È dolcissima e super curiosa. Sogna di vedere Crema perché ha visto in internet che ha dei monumenti interessanti. Racconta sognante ogni posto che ha visitato, e anche se capisco una parola su cinque è coinvolgente ed emozionante.
Soobin è di una bellezza mozzafiato, è bravissima e super competitiva. Parla molto ed è super curiosa, sa dire come stai in Italiano perfetto.
Piero, italiano doc, disperato quanto me per la pronuncia di questa strana lingua. Mangiatore di pasta, ogni sera versa lacrime amare ricordando l’ultima pizza commestibile mangiata. Prima ancora che parlasse sapevo che fosse italiano. Ho il radar scova italiani.
L’ho detto a Jia, che è ancora traumatizzata dalla cosa. (Ho indovinato tutte le nazionalità. Un culo tremendo. Menomale che nessuno mi ha chiesto l’ubicazione dei vari paesi, avrei perso tutta la mia credibilità. Ricordo ancora la verifica con la cartina muta in seconda superiore, dove ho invertito il Giappone con la Russia.)
È una classe poliedrica e che non ho avuto ancora il piacere di conoscere in maniera completa.
Giovedì c’è stata una new entry, una Giovane ragazza thailandese di cui non conosco il nome. Bellissima sembrava uscita da un quadro di Gauguin; si lo so che sono polinesiane, ma non é colpa mia se le assomiglia!
Si è scusata per la sua assenza, dovuta al fatto che il nonno è venuto a mancare.
Claire, la teacher, le ha chiesto se fosse tornata a casa e le hai le ha risposto di no perché i genitori le hanno detto di stare tranquilla e di vivere al meglio la sua esperienza.
Mi si è gelato il sangue, ed è stata dura nascondere l’emozione.
Un po’ per l’argomento, un po’ per l’atteggiamento dei genitori. Mi ha ricordato la mia famiglia. L’esempio di amore incondizionato e protezione, che spesso ho frainteso.
Ho pensato che alla fine davanti ai sentimenti alle emozioni ci sono solo esseri umani, non etnie, culture o credo religioso.
Allora le sinapsi si accendono, come lucine sugli abeti a Natale. E una a una, rivivo le scene: il discorso con Jia due agnostiche cresciute in una famiglia cattolica, ai racconti di viaggio con Hosseu e delle litrate di birra bevute in Germania, al discorso con Axa sugli uomini e su l’impossibilità di capirsi. E mai mia battuta fu più vera, non è un problema di nazionalità ma di uomini.
Uomini nel senso più ampio del termine.
Quante incomprensioni, quante parole non dette e quante di troppo. È davvero un problema di lingua, di cultura? O è nella natura umana non comprendersi? O forse è nella natura umana non aver tempo o voglia di comprendersi e farsi comprendere.
Lontano dalle certezze, l’esigenza di comprendersi e farsi comprendere sorpassa ogni limite, culturale e personale; la voglia di mettersi in gioco, di conoscere e conoscersi va oltre ogni apparenza.
Sembra quasi che i “disadattati” di tutto il mondo abbiano trovato la loro pace qui; e così il giovane con il costume hawaiano cammina di fianco alla ragazza con il maglione di lana e le infradito; nessuno batte ciglio. Non uno sguardo, non una risata. Non dovrei stupirmi, e pure mi trovo a farlo.
È tutto così dannatamente vero e reale.
Niente maschere né attori, solo banalissimi esseri umani.
Umani, troppo spesso, per pigrizia e noncuranza ci dimentichiamo di esserlo.
Extraterrestre portami via
Extraterrestre – Eugenio Finardi
voglio una stella che sia tutta mia
extraterrestre vienimi a cercare
voglio un pianeta su cui ricominciare
Mi rendo conto che gli impavidi che mi hanno chiesto se avrei scritto altro, se ne staranno pentendo amaramente. Non ho il dono della sintesi e questo non è che un breve riassunto di ciò che è frullato negli ultimi due giorni nella mia povera calotta cranica.
Ma del resto questo è il lucido riflesso della mia mente, il limbo dei miei pensieri. Quelli più reconditi, quelli che da anni tramano in sordina per evadere, quelli che nessuno vorrebbe mai leggere.
“Non credere mai di essere altro che ciò che potrebbe sembrare ad altri che ciò che eri o avresti potuto essere non fosse altro che ciò che sei stata che sarebbe sembrato loro essere altro.”
LEWIS CARROLL



